Prima dell’avvento del coronavirus, quando ci trovavamo in un luogo affollato – per esempio in ascensore – ricorrevamo a diverse strategie per proteggerci.
C’era già chi guardava i tasti, chi per terra, chi il cellulare, chi i piani, chi calcolava il peso medio di ciascun occupante, chi cercava lo scontrino del parcheggio e – last, but not least – c’era già anche chi “attaccava bottone” con gli sconosciuti!
Un atteggiamento ancora troppo spesso ricondotto all'estroversione, quando in realtà è il biglietto da visita di chi è in imbarazzo e cerca quindi di giustificare il fatto di trovarsi ad una distanza intima (0 cm - 60 cm) con un perfetto estraneo con in quale sarebbe decisamente più a suo agio, se avesse l’opportunità di mantenere una distanza sociale (1.5 m – 4 m).
Il paradosso?
Se in passato la funzione dello small talk era quella di aiutarci a scendere a patti con una #vicinanza considerata #anomala, ai giorni nostri sembra che la stessa pratica abbia assunto una connotazione diametralmente opposta, aiutandoci a scendere a patti con una #lontananza che ci suona altrettanto #inconsueta!
In tutti questi cambiamenti, il ruolo del linguaggio è rimasto lo stesso: quello di fare da collante per aiutarci a sciogliere l’imbarazzo iniziale e a tessere relazioni interpersonali proiettate verso nuovi orizzonti. Quelli di una società in continua evoluzione.
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