Con la definizione “formazione manageriale” ci si riferisce a un “insieme di attività volte allo sviluppo di abilità comportamentali sinergiche, utili soprattutto alle figure professionali che rivestono un ruolo di conduzione”.
Si spazia da competenze tecniche – quali diritto, economia, contabilità, organizzazione, gestione d’impresa, del rischio, di flussi e di progetti – alle famigerate soft skills che contemplano un reticolo di abilità estremamente variegate, quali l’acquisizione di una solida autostima, lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, la gestione dello stress, l’attitudine alla leadership, alle pubbliche relazioni, alla negoziazione, all’ascolto, alla presa di decisioni e – non da ultimo – allo smart working.
Tutti ambiti in cui la comunicazione gioca un ruolo determinante, nel senso che - se sfruttata consapevolmente – ha il potere di generare un effetto domino dai risvolti sorprendenti. Risvolti evidenziati da un numero sempre più crescente di ricerche che mettono l’accento su tratto distintivo che accomuna le vision di molte realtà aziendali: uno stile di conduzione vincente sul piano relazionale genera un clima positivo ed esercita un impatto diretto sulla performance dell’intera organizzazione.
Un letimotiv ormai sdoganato, ma non privo di zone d’ombra! Perché se, da un lato, gli executive dell’era moderna hanno smesso di fare “orecchie da mercante” di fronte ai molteplici valori aggiunti connessi alla sfera comunicativa, dall’altro, i consulenti nella formazione aziendale si ritrovano spesso spiazzati, quando sono alle prese con la progettazione di un nuovo training. I più navigati sanno che, creare le condizioni ottimali per trasmettere delle abilità in larga parte innate, nasconde molto più di un semplice inghippo e che le insidie disseminate lungo il cammino dello sviluppo del personale non si contano.
Dopo aver parlato dei rischi di definire obiettivi poco chiari e di fare di un’erba un fascio, passiamo in rassegna la TERZA TRAPPOLA e la TERZA SFIDA con cui sono confrontati tutti i professionisti che strutturano percorsi di leadership destinati ai manager: TRASCURARE PREGIUDIZI E TIMORI!
La trappola?
Supporre che gli iscritti alla formazione aziendale siano liberi da preconcetti.
I pregiudizi legati ai contenuti proposti e quelli connessi al timore di esporsi pubblicamente, possono apparire come uno sterile spauracchio, ma in realtà sussistono eccome! Il problema è che, spesso, “non si vedono”, perché i partecipanti – nel tentativo di “salvare la faccia” – sono spinti a nasconderli sotto la punta dell’iceberg.
I più comuni?
1) Formazione manageriale = Perdita di tempo
Nonostante sia stato più volte smentito, in molti sono ancora convinti che la leadership sia una specificità racchiusa nel codice genetico di una élite di “fortunatissimi”. Motivo per cui, non si capacitano dell’utilità del training aziendale. La domanda più inflazionata di sempre? “Perché non posso investire il mio tempo in modo più produttivo?”. Oltre all’estesa diffusione di questa falsa credenza, alcuni professionisti faticano a prendere coscienza del fatto che la leadership comincia e non finisce al vertice dell’organizzazione e che quindi ognuno di loro, a modo suo, ha la possibilità di essere un leader.
2) Formazione manageriale = Perdita della faccia
Purtroppo, anche i partecipanti più proattivi non sono liberi da pregiudizi e timori: spesso faticano ad esprimersi, perché hanno paura di uscirsene con delle banalità o con delle affermazioni sconvenienti che potrebbero essere prese sul personale, male interpretate e – worst-case scenario – usate contro di loro a posteriori.
Dietro queste idee preconfezionate, si celano dei potenziali rischi che, se non abilmente gestiti, hanno tutte le carte in regola per sfociare in:
- Conflitti di genere (“Una donna, per quanto preparata e mossa dalle migliori intenzioni, non avrà mai la stoffa per fare il capo!”).
- Conflitti generazionali (“Questo ragazzo manca di esperienza: è troppo giovane per fare il capo!”).
- Conflitti interiori (“E se la pantomima sull’importanza della formazione continua fosse solo una favoletta che mi hanno venduto per farmi le scarpe?!”).
La sfida?
Dedicare la prima fase del training a portare alla luce i desideri e i timori degli executive, sia in riferimento agli argomenti affrontati, sia per quanto concerne le dinamiche relazionali. Una tecnica conosciuta, ma non sempre praticata, fautrice di molteplici valori aggiunti.
Per i partecipanti? L’opportunità di sentirsi accolti, di dare voce alle loro perplessità, di visualizzare i contenuti esposti nell’ottica di strumenti direttamente spendibili nella loro quotidianità e – last, but not least- quella di riuscire a tenere sotto controllo più efficacemente le loro emozioni.
Per il formatore? La possibilità di adattare i temi agli interessi dei destinatari, dando parallelamente un volto ai loro/suoi “nemici”. Alias: i timori nascosti sotto la punta dell’iceberg. Come diceva Sun Tzu: “Se conosci te stesso, ma non conosci il tuo nemico, le tue possibilità di vittoria saranno pari alle tue possibilità di sconfitta!”. Perché rischiare?
Nel prossimo articolo passeremo in rassegna la QUARTA TRAPPOLA e la QUARTA SFIDA con cui sono confrontati tutti i professionisti che strutturano percorsi di leadership destinati ai manager. Siete curiosi di saperne di più? Restate sintonizzati!
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